Le aree montane di domani? «abitate e sostenibili»

Il 16 febbraio scorso il Corriere delle Alpi e Nord Est Economia hanno riunito a Belluno, nella cornice di palazzo Bembo, gli amministratori, gli imprenditori, i rappresentanti del mondo associativo della montagna veneta per un confronto su «La nuova montagna. Il territorio, il turismo e le comunità: quali risposte davanti alle sfide del cambiamento climatico».

Il Pelmo e la Val Fiorentina

Ph. Alessandra Masi 

Dal dibattito sulle aree montane sono emersi punti di vista differenti, con una certa convergenza, tuttavia, sulla necessità di affrontare l’adattamento alla crisi climatica, favorendo una fruizione lenta e destagionalizzata della montagna e la possibilità, per le genti che la abitano, di continuare a viverci potendo contare su servizi adeguati. La direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO, Mara Nemela: «Il paesaggio non è solo lo sfondo su cui insistono delle infrastrutture e la sfida che abbiamo davanti è definire forme di sviluppo che siano vicine alla comunità e al cambiamento in corso».

Adattamento:
l’ora delle scelte

Nel suo saluto, il direttore dei quotidiani veneti di Gedi e di Nord Est Economia, Fabrizio Brancoli ha messo a fuoco il cuore del problema: come pensare il futuro di territori a forte vocazione turistica di fronte al cambiamento climatico? Il tema è stato affrontato, dati alla mano, dalla presidente di Confindustria Belluno Dolomiti Lorraine Berton, che ha ricordato come, solo nell’ultimo decennio, la durata del manto nevoso sulle Alpi si sia ridotta di un ulteriore 5,6%.

Per questo motivo Confindustria è al lavoro su importanti progetti di ricerca: «Belluno ha tutte le carte in regola per diventare punto di riferimento sull’impatto che i cambiamenti climatici hanno e avranno sul territorio e le comunità che lo abitano», ha concluso. Nel messaggio video inviato alla platea, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha definito la questione «delicatissima», evidenziando come la montagna, senza la presenza umana, non possa avere futuro e come occorra puntare sugli investimenti e sui servizi per frenare lo spopolamento.

Gli amministratori: resilienza grazie ai servizi

Le due tavole rotonde, coordinate da Paolo Cagnan, condirettore quotidiani veneti GNN, da Luca Traini, vicedirettore Corriere delle Alpi e da Roberta Paolini, giornalista Nordest Economia, hanno consentito due confronti: uno sul piano politico-amministrativo e l’altro sul piano economico-ambientale. Sul tema della governance della montagna è intervenuto l’assessore alla Programmazione, al Bilancio e agli Enti Locali della Regione Veneto Francesco Calzavara che ha invitato a ragionare in termini di area vasta cercando di unire all’identità territoriale anche l’efficienza amministrativa.

Il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin ha riconosciuto come la crisi climatica stia cambiando tutto: «Ce ne siamo resi conto con Vaia e ora il problema più grande è quello della siccità». Per Padrin occorre riprendere la legge sulla montagna e l’autonomia bellunese, ma le risorse non mancano, grazie al PNRR e al Fondo per i Comuni Confinanti. Da parte del presidente dell’UNCEM Marco Bussone la rinnovata richiesta al Governo di definire entro quali altitudini o confini geografici non abbia più senso investire sullo sci e una riflessione sul ruolo del rapporto tra la città e le sue valli in vista delle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026.

Sostenibilità ambientale ed economica

I dati sulle tendenze del turismo montano portati da Massimo Feruzzi (JFC Osservatorio Montagna) confermano la maggiore frequentazione che si è innescata negli anni della pandemia e che si estende non solo allo sci tradizionale ma anche alle attività libere e lente: scialpinismo, ciaspole e passeggiate. È toccato alla presidente nazionale dell’ANEF, Valeria Ghezzi portare la voce degli impiantisti: «Il tema della sostenibilità è più ideologico che reale», ha affermato Ghezzi, «la montagna abbandonata è pericolosa, a rischio dissesto idrogeologico; più che di riconversione degli impianti bisognerebbe parlare di evoluzione». A fare da contraltare il presidente di Legambiente Veneto Luigi Lazzaro: «Anche la Banca d’Italia segnala che gli investimenti sugli impianti di bassa quota è meglio non farli; l’innevamento artificiale non è la risposta. Chiediamo di ascoltare il grido della scienza per una risposta che, certo, deve comprendere anche il turismo e la sostenibilità economica».

La direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO Mara Nemela ha messo a fuoco la necessità di adottare il punto di vista dei valori del riconoscimento UNESCO, «che non è stato calato dall’alto, ma voluto dalle comunità locali. Il nostro lavoro è dinamico e deve sposarsi alle esigenze delle comunità che cambiano, anche a causa della crisi climatica. È interesse delle comunità mantenere integro il territorio, perché il paesaggio non è solo lo sfondo su cui insistono delle infrastrutture e la sfida che abbiamo davanti è declinare forme di sviluppo vicine alla comunità. Il riconoscimento UNESCO abbraccia realtà differenti e le risposte devono travalicare le dimensioni locali. Non dobbiamo ragionare», ha concluso Nemela, «solo sul sistema piste-impianti, ma anche sul sistema sentieri-rifugi, perché è il cardine della frequentazione e delle conoscenza del Patrimonio Mondiale».

Sul rapporto tra pianura e montagna si è concentrato, infine, il presidente del CAI Veneto Renato Frigo: «Quando la montagna viene sentita come propria anche delle genti di pianura viene più rispettata e vissuta; va infrastrutturata poco ma bene e non deve diventare un quartiere delle pianura».