Dal Cadore a Dubai: anche la montagna guarda alla Cop 28

Dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 si svolgerà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, la 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 28).  Il tema della crisi climatica è stato al centro dell’incontro annuale tra i gestori di rifugio dell’area “cuore” delle Dolomiti Patrimonio Mondiale, svoltosi il 16 e 17 novembre a Pieve di Cadore, durante il quale sono intervenuti l’esperto di criosfera Anselmo Cagnati e Roberto Barbiero, climatologo dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente della Provincia Autonoma di Trento, che ora si trova a Dubai per seguire i lavori della Cop insieme a un gruppo di giovani universitari.

Tramonto dal Roccolo di Pieve di Cadore, Ph. Alessandra Masi

Ph. Tramonto dal Roccolo di Pieve di Cadore, Alessandra Masi

Lo scenario montano attuale…

Come in occasione delle precedenti conferenze, gli esiti della Cop riguarderanno da vicino anche lo scenario alpino e dolomitico: accelerare e rendere più ambiziosi gli impegni di tutti, per raggiungere gli obiettivi stabiliti nell’Accordo di Parigi del 2015, porterebbe alla ricezione di questi obiettivi da parte dell’UE, dell’Italia e infine dei livelli locali, inclusi quelli a cui appartiene l’area del Patrimonio Mondiale.

La montagna subisce in modo più accentuato l’aumento delle temperature: qui il limite massimo fissato dall’Accordo di Parigi, ovvero i 2° rispetto all’era preindustriale è già stato superato e, secondo i dati pubblicati dal CNR nell’agosto scorso, durante il più recente periodo climatologico normale (1991-2020), la media annuale della temperatura massima ha fatto registrare un tasso di riscaldamento pari a +0,5 °C ogni 10 anni.

Il minore innevamento e il ritiro dei ghiacciai determinano infatti una maggiore esposizione delle rocce alla radiazione solare e l’intervento di Anselmo Cagnati, durante l’incontro annuale dei gestori di rifugio del Patrimonio Mondiale, ha consentito una panoramica sugli effetti della deglaciazione nell’ambiente dolomitico: dal caso simbolo della Marmolada, il cui ghiacciaio è destinato a scomparire definitivamente entro il 2050, all’ormai sempre più consistente repertorio di crolli che si susseguono in ogni estate-autunno, ai fenomeni di dissesto (debris-flow) che compromettono la sicurezza dei versanti, fino all’innalzamento costante del livello del permafrost, con il conseguente inevitabile collasso delle strutture che vi poggiano.

Tutte problematiche con le quali quotidianamente si trovano ad avere a che fare coloro che si occupano di ospitalità in quota, gestione dei sentieri, impianti di risalita e che si aggiungono a quella della costante riduzione della possibilità di approvvigionamento idrico.

… E lo scenario futuro

L’ambiente montano, insomma, si è già trasformato e rappresenta uno di quelli più vulnerabili e a rischio: da qui in avanti le strategie di adattamento, oltre a quelle di mitigazione, saranno decisive per quanti vivono e lavorano in quota.

La lettura offerta da Roberto Barbiero lascia pochi dubbi sul futuro: rispetto alle altre aree glaciali, quella dall’arco alpino decresce in modo molto più marcato dal 1980 e secondo il Rapporto sul Clima – Alto Adige 2018, EURAC Research, entro il 2050 i ghiacciai si saranno ritirati oltre i 3000 m ed entro la fine del secolo si prevede un innalzamento del limite della neve di circa 700 m. A un’altitudine di 1500 m ciò equivale all’80-90% di neve in meno.

Le responsabilità antropiche di questa situazione, ha rilevato una volta di più Barbiero, sono inequivocabili e nei prossimi anni sarà decisiva la cooperazione a livello locale, oltre che globale, attraverso il lavoro sulle strategie e i piani di adattamento ai cambiamenti climatici regionali e sui piani energetici provinciali.