Sappiamo dove sono, anche grazie al lavoro di catalogazione avviato dalla Fondazione Dolomiti UNESCO (Rete del Paesaggio e delle Aree Protette coordinata dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia) e pubblicato nel 2018. Sappiamo che disturbano la nostra percezione del paesaggio e spesso anche l’ambiente stesso. Quello che non sappiamo è cosa farne: quando vanno abbattute? Quando possono essere riqualificate e come?  Stiamo parlando delle cosiddette «Strobs», le strutture obsolete, che il 2 dicembre scorso a Belluno sono state al centro del convegno «Ai margini del paesaggio», organizzato dall’Ordine degli architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori di Belluno, in collaborazione con la Fondazione Dolomiti UNESCO, la Fondazione Architettura Belluno Dolomiti, la Provincia e il Comune di Belluno.

Una sfida complessa e affascinante

Le strutture obsolete sono spesso una spina nel fianco per le amministrazioni pubbliche e un banco di prova stimolante per gli architetti; la loro gestione si complica enormemente quando si collocano in un patrimonio comune fragile e complesso come quello dolomitico: infrastrutture per l’escursionismo abbandonate, baracche, impianti in disuso che stonano, interferiscono, disturbano. Ma la cui rimozione a volte non è l’unica soluzione: rigenerarle può, in alcuni casi, dare impulso a nuove modalità di fruizione del territorio.

Ad introdurre il convegno, prima degli interventi della presidente dell’Ordine Fabiola De Battista e del presidente della Fondazione Architettura Belluno Dolomiti Angelo Da Frè, le parole di Simone Deola, consigliere delegato all’ambiente e alla cultura della Provincia di Belluno, che ha portato i saluti del presidente Roberto Padrin, vicepresidente della Fondazione Dolomiti UNESCO. Deola ha messo l’accento sullo spopolamento montano, che impone di vivere sospesi tra la constatazione dell’abbandono e la necessità di un recupero funzionale a mantenere le comunità in quota e a tutelare il paesaggio. Il prossimo evento olimpico sarà un banco di prova decisivo, al termine del quale «… non dovranno restare delle cattedrali nel deserto, ma realizzazioni che possano essere di attrazione per nuovi residenti, anche attraverso un’edilizia popolare ben inserita nel contesto montano e dolomitico».

Segni del passato per disegnare il futuro

Molti gli spunti di riflessione e i casi concreti analizzati durante la giornata di studi: l’obiettivo era infatti quello di presentare uno sguardo d’insieme sulle strutture obsolete, per poi condividere approcci e prospettive a partire da alcuni esempi concreti.

Da parte della direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO, Mara Nemela, uno sguardo al futuro: «Interrogarci sulle strutture abbandonate ci porta inevitabilmente a indagare le dinamiche che hanno portato al loro abbandono, ma in questo modo possiamo avviare utili riflessioni per la futura pianificazione del territorio».